Adelchi — Non eran questi i nostri patti
Note del regista e promo
Adelchi
Regia Gianfranco Tizzoni
INTERPRETI
Giuditta Gasparini
Augusto Ciprani
Gianfranco Tizzoni
Al pianoforte : Gigi Frumento
Promo in Vimeo
(note del regista)
O mio Re Desiderio.
Con queste parole, pronunciate dal fedele Vermondo, si apre la tragedia.
Al di là del significato letterale e del contesto storico e drammaturgico dell’Opera, queste poche parole hanno sempre sintetizzato, nella mia mente, il vero significato del dramma di Manzoni, significato e suggestione che ho cercato di trasfondere nella messa in scena.
Perché Desiderio è Re dei Longobardi, sì; a lui si rivolge Vermondo nella prima scena.
Ma il Desiderio, nelle sue declinazioni di Avidità, Cupidigia, Volontà di Potenza, Vendetta, è il vero protagonista della tragedia e la vera guida delle azioni umane.
Il Desiderio di Carlo di Francia di accrescere il proprio potere e il proprio dominio;
il Desiderio di Ermengarda di essere la ‘Buona Moglie’, apportatrice di pace e serenità;
il Desiderio di Desiderio, di ricevere rispetto, soddisfazione, vendetta e affermazione;
il Desiderio del popolo italico di essere salvato (nihil novi sub sole) da un intervento esterno.
A questo fiume in piena di Volontà confliggenti, di Atti e Azioni poste in essere per la soddisfazione del proprio particolare Desiderio di potere, vendetta, pace, potenza, si contrappone Adelchi.
Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
Finor: soffri, ma spera il tuo gran corso
Comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
Quali opre il cielo ti prepara?
Adelchi compirà il Dovere in assenza di Desiderio (Ubbidiresti biasmando?); diverrà simbolo cristiano (similitudine sottolineata nel finale ‘O Re de’ Re’) di una modalità diversa di arginare e contrapporsi al mero e crudele Desiderio di possedere, di provocare, di vendicare. Un argine forse innaturale a quella che, di lì a non molto, Friedrich Nietzsche individuerà come motore ed essenza delle azioni e della natura umana, quella “volontà di potenza” (la Wille zur Macht), che è l’essenza dell’essere e della vita, cieca ed irrazionale, in perenne espansione ed autosuperamento.
In Adelchi è presente la consapevolezza della propria antistoricità:
‘Il mio cor m’ange, Anfrido: ei mi comanda
Alte e nobili cose; e la fortuna
Mi condanna ad inique’
Ma anche la fiducia nelle proprie ragioni: nessuna convivenza è possibile dove al Desiderio innato non viene applicato il temperamento della Pietà.
Una feroce
Forza il mondo possiede, e fa nomarsi
Dritto: la man degli avi insanguinata
Seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno
Coltivata col sangue; e omai la terra
Altra messe non dà.
Adelchi è davvero il Figlio di Desiderio e del Desiderio: è un Figlio che compirà il Dovere dimostrandone l’assurdità.
Gran segreto è la vita, e nol comprende
Che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno:
Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa
Ora tu stesso appresserai, giocondi
Si schiereranno al tuo pensier dinanzi
Gli anni in cui re non sarai stato, in cui
Né una lagrima pur notata in cielo
Fia contro te, né il nome tuo saravvi
Con l’imprecar de’ tribolati asceso.
Godi che re non sei.
Gianfranco Tizzoni